Alessandro Colpani | La musica è cambiata ci racconta la svolta del cantautore piacentino

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Alessandro Colpani e La musica è cambiata
Alessandro Colpani e La musica è cambiata
Jazz

Nuova parentesi, sempre targata Orzorock Music, per Alessandro Colpani

Un nuovo album che segna un cambiamento nel percorso di un artista. Stiamo parlando di Alessandro Colpani che da qualche giorno è fuori con il suo “La musica è cambiata”, edito da Orzorock Music.

Colpani lo conosciamo da molto tempo, anche nelle sue diverse sfaccettature e collaborazioni, ma oggi al centro c’è lui, in prima persona, con un album che lo ridefinisce a distanza di 3 anni dall’ultimo suo lavoro dal titolo “Tra me e me”.

Dalla nostra telefonata ne è scaturita una bella intervista (o almeno noi speriamo che vi piaccia) e che vi riportiamo qua.

Sappiamo che sei un vulcano di idee. Ti parla uno che nel suo disordine è organizzatissimo. Vale anche per te, oppure riesci a fare tutto perché, al contrario, sei organizzatissimo?

Non mi organizzo troppo perché poi mi perdo il senso di quello che voglio fare. Ho appeso circa 250 post it in giro, tipo casa di carta, che vado a tirare via mano a mano che mi avvicino alle scadenze, come se fossero piccoli traguardi, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. Poi insieme alle altre cose che faccio, come con i Maladissa, la collaborazione con Francesco Brianzi e altro ancora, non è facilissimo tenere tutto insieme, ma il bello è anche quello.

Perché poi, che sia ordine o disordine, questo disco mi dicevi che è stato un cammino…

Si e programmato! Volevo fare questo disco per tanti motivi, compresa la voglia di ridefinirmi dato che l’ultimo è di tre anni fa. Rivedere i miei orizzonti personali. Anche se nel frattempo come dicevamo sopra faccio altre cose, qui ci sono solo io. Questo al netto del fatto che per me la creazione di un album è sicuramente un momento felice, quando devo andare in studio mi sveglio alle 5 del mattino e penso solo a quello, anche se allo stesso tempo è anche preoccupante perché c’è da prendersi delle responsabilità. In questi mesi la prima notte in cui ho dormito bene, pensando al disco ovviamente e non a tutto il resto, è stata quella in cui è effettivamente uscito, dopo due mesi di ansie per copertina, suoni, scadenze, e via dicendo.

Il titolo dell’album è La Musica è Cambiata. Per te questa frase è l’inizio di una nuova era, oppure è la conclusione di un capitolo? Come mettere un punto alla fine di un discorso?

Forse anche spinto dagli eventi che stanno accadendo, lo vedo come l’inizio di un discorso nuovo. Poi la scelta del titolo è dovuta ad un aneddoto che l’ha resa naturale. Prima di dovermi chiudere in casa come tutti gli altri, facevo prove regolari insieme a Davide Cignatta, prove di 3 ore che consistevano nell’andare da lui, prendere il caffè, parlare per 2 ore e 50 minuti e poi suonare per i restanti dieci. Una volta è saltato fuori che sotto il Municipio di Agazzano, vicino a dove abita Davide, c’erano dei ragazzini che riproducevano dal telefono musica trap e sapevano a memoria tutti i testi, anche lunghi e pieni di parole. Raccontandomi questa cosa Davide mi ha detto che gli ricordava quando andava lui in giro a cantare a memoria Guccini o Tenco, e che non sempre chi cantava Eskimo a memoria lo faceva ragionando sui testi, che è una cosa che oggi si recrimina ai “giovani”. Questo ci ha fatto pensare che la musica è cambiata e che continua a cambiare e che fa ridere cercare di fermarla. Comunque sia, la trap è una dimostrazione di cambiamento al netto di tutto quello che consideriamo bello solo perché ci siamo abituati. Un cambiamento che vale anche per me, il mio ultimo disco era molto verboso come testi e arrangiamenti, e ora invece ho alleggerito molte cose rendendo il tutto più scorrevole.

Perciò confermi anche quello che ha detto il tuo editore Gaby, Gabriele Finotti, pochi giorni fa, ossia che il titolo lo ha suggerito lui. Possiamo credergli?

È assolutamente vero. Nel momento in cui è nata la canzone e quella frase, Gaby l’ha suggerita come titolo e io ho detto subito si.

L’ho citato scherzando, ma Gaby vuol dire Orzorock Music. Una collaborazione che procede…

Come editore è molto attento e premuroso, il che va oltre al mettere semplicemente le cose su Spotify, ma invece questa è una vera collaborazione. Non ha fatto la direzione artistica, però è giusto dire che la sua figura ha svolto il lavoro che doveva fare, ossia valorizzare il prodotto sapendo che cosa consigliare, come sempre. E anche ora, perché ovviamente il lavoro è anche tutto quello che sarebbe venuto dopo, quello della promozione, con tutta una serie di cose che avevamo in testa, che in parte non potendo suonare in giro dovremo rivedere.

La musica è cambiata
La musica è cambiata (clikkate sull’immagine per ascoltare l’album su Spotify)

Senza ripercorrere tutti i pezzi, questo lo farà chi ascolterà l’album, qualcosa devo chiedere. Intanto “Due operai” sembra quasi una canzone di protesta… contro parte della protesta!

Quella canzone l’ho scritta in un momento in cui coppie di operai in giro per l’Italia salivano sulle gru per attirare l’attenzione sulle condizioni di lavoro ritenute ingiuste in cui versavano, momenti in cui tutti si vogliono esprimere. Da un lato volevo farlo anche io, dall’altro, anche se abito in Italia e avevo tutti gli strumenti per poterlo fare, non mi sono sentito come la persona più indicata a farlo. Qua c’è il contrasto tra il voler fare qualcosa ed un mondo che tanto non cambia. E poi ci sono io, perché quando dico “cielo biondo e occhi blu” mi riferisco a me stesso, un giovane che sogna di fare qualcosa, ma che è annichilito dalla cornice in cui sembra che il discutere i problemi reali si sostituisca al risolverli, e che alla fine tutto resti com’è. Poi c’è il tema di vedere la sofferenza sempre lontana e allora non mi scagliavo tanto contro la protesta, o almeno in parte, ma soprattutto contro il rumore che vi si crea intorno. Qualcosa di analogo alla vicenda di Silvia Romano, per la quale non si è fatto nemmeno in tempo a gioire, che già si potevano leggere bestialità di ogni tipo.

All’interno troviamo anche Banalità, un pezzo uscito dal Festival Profondo Giallo.

In questo caso non un figlio minore. In Banalità c’è un condensato di tante cose che veramente volevo dire ed è una canzone che rispecchia il mio modo di suonare. Anche se musicalmente è fatta con un arpeggio semplice in cui sono da solo, la canzone è completa così e rappresenta bene la differenza col disco precedente nel suonare, cantare e scrivere. Dato che era talmente tanto rappresentativo di quello che musicalmente sono adesso, è diventato un pilastro del disco.

Essere cantautore implica la responsabilità di esserlo, e dall’altro la leggerezza di dire quello che si pensa. Come dice Brunori “Che ti affidi all’ennesima dieta. A un cantante che sembra un profeta” in Capita così. C’è quasi un monito: non vi fidate troppo di noi. Anche per te deve essere questo l’ascolto verso un cantautore?

Tu mi porti questa citazione e ti rispondo con un’altra, quella di un cantautore in parte mitizzato e in parte non capito, parlo di De Gregori quando dice “Scusami però non so di cosa stai parlando, Sono qui con le mie buste della spesa, Lo vedi, sto scappando”. Al cantautore viene conferito un ruolo di paladino di qualche cosa, si crede di potersi fidare di una persona che non si conosce veramente, ma non è così. Forse Brunori si riferiva al fatto che un cantante può sembrare un profeta, a cui magari strappare una verità facile per la pigrizia di farsi un’idea da sé. Quando invece è pur sempre un cantante, e una canzone rimane una semplice canzone. L’arte può parlare di cose grandi, ma queste cose non sono nell’arte, semmai possono essere ispirate dall’arte e dagli artisti. “Ceci n’est pas une pipe” insomma.

Io ascolto le tue cose da tempo, però al giorno d’oggi faccio fatica a trovare nel panorama italiano un artista a cui ricondurti. Tu che suggerimento mi daresti?

Spazio tra artisti a cui mi sono affezionato, e artisti che non ascoltavo e di cui poi comincio a ripercorrere tutta la discografia dal primo pezzo fino ad oggi. Di conseguenza a volte mi trovo in procinto di fare un disco proprio per gli ascolti che faccio, e alla fine vedo che mi hanno cambiato. In questo caso, in mezzo a queste esplorazioni il più possibile complete, ci sono alcuni autori che rimangono fissi, come appunto De Gregori che ascolto sempre. Poi altri meno presenti, come Guccini e De Andrè, ma non solo “vecchi” cantautori.

Continuiamo sul discorso “musica italiana” in generale. C’è qualcuno in questo momento musicale, spaziando magari su generi lontani dal tuo, che so che non disdegni del tutto almeno come forma di comunicazione, che metti nella tua playlist?

Non ne ho idea. L’unica cosa che per cause di forza maggiore ho ascoltato veramente con un’attenzione maniacale in questi mesi è il mio disco per i motivi di cui ho detto. Sto ascoltando playlist e altri suggerimenti che arrivano da fratelli e amici. Vanno dalla trap all’hiphop in alcuni casi, ma anche cosiddetto “indie” e non solo, oltre a cose più vicine ai miei gusti. Però devo dire che su quel fronte lì, non mi sono ancora fatto un’idea, non ho ancora mappato la mia geografia personale di “trap” e affini. Se sul cantautorato mi fai il nome di Claudio Lolli, so dove metterlo, se mi dici Dalla o Fossati, so dove posizionarli. Anche perché quando vado a cercare qualcosa di nuovo, di norma è qualcosa nuovo per me, non è detto che sia cronologicamente nuovo. Le mie scoperte sono anche cose che gli altri hanno già scoperto. Con La Musica è Cambiata non dico che il vecchio è superato, anzi, la musica non è mai superata. Può cambiare, ma se ti dice qualcosa, è quella giusta per te. Poi se proprio vuoi un nome della musica più recente, ti dico Motta, lui mi è piaciuto.

Roberto Selvatici all'Elfo Studio (foto di Michela Ghelfi)
Roberto Selvatici all’Elfo Studio (foto di Michela Ghelfi)

In questi giorni sui social abbiamo visto un grosso “grazie”, ce lo spieghi?

Avevo invitato tutti gli amici, vecchi e nuovi, musicisti e non, al mio compleanno per offrire una birra con lo specifico consiglio di venirsi a divertire, e mi hanno fatto la sorpresa di farmi un regalo che consisteva in un grosso aiuto economico per finire il disco. Un aiuto molto importante perché ci sono state tante ore di lavoro, di studio, di registrazione e via dicendo. Tanto lavoro che è stato decisamente alleviato da quel grosso regalo. Cose che ti fanno pensare che questo è un album non soltanto mio, ma anche di chi lo stava aspettando.

Un altro grazie anche a chi ha aiutato a creare il “pacchetto”…

Si, è giusto ricordare e ringraziare Marta Piroli per le fotografie del disco, Rebecca Sottosanti per il progetto grafico, e ancora le foto scattate durante le registrazioni in studio da Michela Ghelfi.

Non abbiamo ancora parlato di Roberto Selvatici, una figura molto importante. Come è stato il lavoro insieme?

Con lui sono state prese decisioni anche non facili sull’album. Scelte che grazie alle sue capacità hanno dato una profondità al disco. Devo dire che lui si è trovato di fronte alla difficoltà di arrangiare delle canzoni su cui era già presente il mio arpeggio che riassumeva gli accordi, il ritmo, le note “al basso” e anche la melodia. Perciò erano già “prese” tante cose, oltre al semplice fatto che lo strumento è lo stesso mio, ossia la chitarra. Davanti a questo gli ho detto “fa come faresti”, e lui ha saputo dare una dimensione rinnovata alle mie canzoni, ha saputo fornire un contesto anche attraverso la scelta del suono, cosa tutt’altro che banale. Quando hai solo uno strumento, è più difficile essere efficaci, ma gli arrangiamenti scritti ed eseguiti da Roberto rimangono brillanti dall’inizio alla fine dell’album, dimostrando che oltre ad avere tecnica è un chitarrista che ha gusto. È stato professionale, pertinente, lucido. Col suo apporto, questi pezzi da un lato ti parlano da vicino, e dall’altro ti forniscono lo “spazio” per un ascolto confortevole. Resta solo una cosa da fare: andare ad ascoltarli.

Clikkate qua, sul titolo “La musica è cambiata“, per ascoltarlo su Spotify

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