I Nagual e il loro “Tat Tvam Asi”: la musica per muovere l’energia

397

Dopo avervi presentato il video di “Let it go”, arriviamo a parlare dell’album dei Nagual dal titolo “Tat Tvam Asi”, in uscita oggi e che sarà suonato live venerdì prossimo al Baciccia. Da oggi l’album edito Orzorock Music, lo potete trovare sui vari store musicali di cui trovate la lista con i link in fondo all’articolo.

Noi ovviamente non potevamo aspettare così tanto per parlare del primo prodotto discografico dei 4 rocker della Val tidone (anche se uno abita a Sant’Antonio) e allora abbiamo incontrato Luca Sabia (voce e chitarra), Vittorio Dodi (chitarra), Giulio Armanetti (basso) e Claudio Bianchi (batteria) per dirci qualcosa su questo album. Ecco l’intervista:

Intanto decifrateci il titolo dell’album!

Noi in realtà non volevamo neanche mettercelo il titolo, lo abbiamo messo solo per indicizzarlo e allora abbiamo scelto quello. È un tentativo mancato di farlo in stile “Led Zeppelin 4”. Ci è piaciuto lasciare questo titolo in sanscrito che fondamentalmente è un mantra e significa “Tu sei esattamente come sei”. È una frase che personalmente – spiega Luca – ritorna spesso e che ho sentito per la prima volta tanto tempo fa da un mio amico indiano in un momento molto particolare.

Un album che arriva dopo tanti anni di attesa…

È stato un processo naturalmente lungo, non dipeso da fattori esterni. Semplicemente è il risultato di un’onda di musica che è uscita fuori, e si abbattuta soprattutto negli ultimi due anni. Nell’album si trovano pezzi che arrivano da lontano a cui si sono sommati altri pezzi arrivati a registrazioni già iniziate come ad esempio “Leti t go”. Dalla prima all’ultima ci passano in mezzo 20 anni, infatti “Fortune” riprende un pezzo del gruppo da cui prende il nome, e risale al 1997, e pezzi nati appena dopo la formazione dellaband, fino agli ultimissimi.

[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”8183″,”attributes”:{“alt”:”La copertina di Tat Tvam Asi”,”class”:”media-image”,”height”:”480″,”title”:”La copertina di Tat Tvam Asi”,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”480″}}]]

Fra di voi c’è un componente che abbassa molto l’età media, Giulio. Come è nato il tutto?

Il periodo era quello in cui io – precisa Claudio Bianchi – sono subentrato a Carlo Cantore e abbiamo suonato in una formazione a 4 per un po’ di tempo fino a quando Massimiliano Sonda Fulgosi dovette, controvoglia, uscire dal gruppo, e per noi fu spontaneo chiedere a lui se conosceva qualcuno che musicalmente e umanamente poteva avvicinarsi a noi. Lui aveva sottomano tale Giulio Armanetti. La cosa ha funzionato. Il discorso anagrafico non lo abbiamo minimamente sentito.

Proprio su questo, Giulio: tu, che sei il più giovane del gruppo, come vivi questa esperienza?

Da un lato, anche se sono l’ultimo arrivato, è da ormai 7 anni che suoniamo insieme e quindi è da tempo che ho conosciuto i pezzi che si facevano soprattutto facilitato dal fatto che, facendo un live basato sulle cover, molte le conoscevo già. Dall’altro lato, c’è stato un cambiamento perché i pezzi originali sono aumentati sempre di più. Di problemi non ce ne sono stati in nessuno dei due momenti, questo ha portato ad avere una visione unica. Quello che mi viene più facile è identificare questo album come la volontà di mettere su un supporto stabile tutto il lavoro di questi anni, come se fosse una sintesi di tanti concerti.

Dal 2006 ad oggi, sono passati oltre 10 anni, quanto siete cambiati da allora?

Molto. All’inizio è stato un approccio abbastanza duro dal punto di vista musicale, nel senso che eravamo ancora molto legati ad un rock di stampo anni ’70, e nei primi pezzi questo si sente molto, forse tranne in “Words For The Wind”. L’ultima generazione di pezzi invece, come Consequencens – Let it go – Silver surfer, rappresentano un lavoro più di fino, più di studio. Tutto fa parte delle influenze che abbiamo, e si sente bene che vengono fuori. Sicuramente gli ultimi lavori sono più completi e partecipati. L’evoluzione c’è, anche perché, nonostante radici musicali simili, non tutti noi ascoltiamo hard rock anni ‘70’, e questo ha influenzato molto, nel corso del tempo, soprattutto i prodotti che nascono durante le prove.

[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”8184″,”attributes”:{“alt”:”I Nagual durante un live”,”class”:”media-image”,”height”:”240″,”title”:”I Nagual durante un live”,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”480″}}]]

Un periodo che vi ha portato ad Tat Tvam Asi ricco di date!

Si, ma magari meno di quello che avremmo voluto. Questo anche perché il nostro genere qua attorno non è molto seguito. Soprattutto per quanto riguarda il lato cover, siamo sempre stati molto intransigenti. Non abbiamo mai voluto fare una scelta di comodo, ad esempio nel fare i Deep Purple non abbiamo mai fatto Smoke on the water, ma abbiamo sempre fatto pezzi meno conosciuti ma che musicalmente ci rispecchiano di più. Non facciamo una cosa solo per far contento qualcun altro, senza voler dare l’idea di una nostra immagine casereccia, noi siamo quelli che salgono sul palco e suoniamo finchè ce n’è.

Un lavoro che anche nella fase in studio è andato avanti…

Si perché tanto lavoro è stato fatto con Alberto Callegari che è anche co-produttore del disco. Sempre molto discretamente, Alberto, ci ha agevolato nelle scelte artistiche. Ha influito e influenzerà. Non è una scoperta per noi perché Alberto lo conosciamo, sia dal lato tecnico e sia come musicista, da anni, e sappiamo come lavora. C’è anche un rapporto che va oltre, basta pensare che nell’album trovate “Monolithos”, una cover degli Art and illusion dove Alberto e Luca suonavano insieme.

Dal vostro nome a quello del titolo, sembra che ci sia una ricerca di qualcosa al proprio interno fra tangibile ed intangibile…

Nagual – è Luca a spiegarcelo – è un termine che ho imparato dai romanzi e dai trattati di antropologia di Carlos Castaneda. Lui ha studiato tutte le tradizioni dei nativi messicani, i Toltechi, e tutto quello che era legato alla cultura messicana, ma anche la figura dello sciamano. Tutto ciò è da considerarsi come una filosofia a parte. Da qui il Nagual che è in pratica lo stregone, il medicin man, il capo spirituale. Una figura sia spirituale che fisica molto legata alla natura. Per il noi, il Nagual è la musica. Il nostro modo di coinvolgere le persone e fargli provare delle esperienze diverse rispetto alla quotidianità. La musica muove energie ed evoca forme spirituali.

[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”8185″,”attributes”:{“alt”:”I Nagual”,”class”:”media-image”,”height”:”240″,”title”:”I Nagual “,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”480″}}]]

Come sono nate le collaborazioni all’interno dell’album?

Come detto quella con Callegari partiva da lontano e ha lasciato la sua traccia “registrata” nell’ultimo pezzo dal titolo “My Own Two Demons”, pezzo che vede anche un’altra importante collaborazione, quella con Monica Sardella, la voce degli Electric Swan. Poi quello che ha dato una nuova nota al suono, sono state le tastiere di Mauro Mugiati. È stato un po’ un azzardo ma alla fine ha pagato. Lui è un ragazzo molto giovane ma molto talentuoso, che da un po’ di tempo conosciamo a cui abbiamo chiesto di inserire, dove e come voleva lui, le tastiere. Il risultato è stato veramente buono. Lui, senza essere troppo invadente, ha messo dei suoni fuori dagli standard soliti dando molto corpo e molte sfaccettature ai pezzi.

In conclusione torniamo al video di “Let it go”, che abbiamo proposto pochi giorni fa e che vi riproponiamo qui, perché una storia da raccontare.

È una storia che parte dal 1998. Nell’estate di quell’anno ho conosciuto il regista del video Teemu Nikki – il protagonista della storia è … ed è lui che la racconta – in piazza ad Ottone perché lui, allora 22enne, era in giro per l’Europa. Cercava qualcuno per avere un tetto sulla testa per quella notte ma purtroppo ormai il finlandese ad Ottone non è più molto parlato, e io con quel poco di inglese che conoscevo ho provato ad aiutarlo. In poco tempo, anche grazie al fatto che in comune non avevamo solo un po’ di inglese ma anche l’attitudine ad infilarsi nel primo bar vicino, siamo diventati amici e abbiamo passato il week end insieme. In quelle ore insieme mi ha detto della sua volontà di fare il regista e mi ha fatto la promessa che quando si sarebbe affermato avrebbe girato il video della mia band, e così, dato che quest’anno esce il suo 4° lungometraggio, è successo. In pratica il video di Leti t go è il coronamento di un fine settimana alcoolico di 19 anni fa.

Ecco dove potete trovare “Tat tvam asi”:

iTunes https://itun.es/it/TF3Fhb

Amazon http://amzn.eu/gR5o7YV

Google Play http://bit.ly/2lydoLO

You Tube https://youtu.be/Hd4LUYniagI

Spotify https://open.spotify.com/album/0BBEonB12LFy89yhzL7iQ2

Deezer http://www.deezer.com/album/15192027

Summertime In Jazz