Il “Lampo” dei Lesima. Intervista per il loro primo ep in italiano

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In ordine erano già usciti Emilia e poi Superpiloti, ora, o meglio da qualche ora, è fuori tutto il nuovo ep dei Lesima, che oltre questi primi due estratti a cui si sommano anche “Ginevra” e “Per noi”. Un ep che prende il nome di “Lampo”.

Ci abbiamo messo un po’ di tempo ma poi abbiamo trovato l’incastro giusto per beccarne 3 su 4 (Bedani – Pini – Pagani) e gli abbiamo chiesto un po’ di cose su questo ultimo lavoro che segna concretamente il passaggio dall’inglese all’italiano.

Da dove si comincia?

Iniziamo dal fatto che si chiama Lampo, è un ep di 4 brani, ma non sveleremo ancora il perché si chiama così. È stato registrato tra novembre e dicembre dello scorso anno al TUP Studio di Brescia, da Alessio Lonati e Brown Barcella.

Come mai al TUP Studio?

Perché questo disco nasce da una urgenza nostra, la stessa che ha portato al “cambio di lingua”, quella di essere più immediati e diretti, e il TUP era il posto giusto perché ci ha permesso di registrare tutto in presa diretta, in modo da ricreare i pezzi esattamente come li suoniamo noi. Li conoscevamo perché c’era già un contatto di amicizia, cosa che poi si è sviluppata nel tempo, durante il lavoro.

Come siete arrivati al passaggio in inglese?

Seguendo l’esigenza, la semplicità, l’essenza. È stato tutto abbastanza veloce: un giorno è arrivato Michele (chitarra e voce, per chi non lo sapesse. Ndr) con un paio di pezzi in italiano e la cosa ha cominciato a rotolare in quella direzione. Già dopo l’ultimo disco c’era la voglia di fare dei pezzi che, anche se registrati come si deve, potevamo suonarli dal vivo anche senza impazzire. Per quanto abbiamo amato i lavori precedenti, ormai li trovavamo eccessivamente prodotti e sentivamo la necessità di tornare alle radici di quello che siamo, appunto all’essenza, che nel nostro caso è il rock’n’roll.

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Anche una via più diretta per essere meglio comprensibili….

Si perché il passare all’italiano ha dato un senso ancora più forte, togliendo quella che poteva essere una barriera linguistica. Con testi più diretti c’è stato meno bisogno di essere costruiti musicalmente. Cambiando lingua è cambiato anche il modo di crearli. Essendo più padroni della lingua avremmo potuto fare anche testi più elaborati, ma invece anche qui abbiamo voluto essere semplici e diretti, troppa era la necessità di buttare fuori le cose.

Cosa ci volete dire con questi 4 pezzi?

Parliamo di situazioni, di noi, di cose che ci rispecchiano molto più che in passato. Come per quanto riguarda la lingua, anche i contenuti sono usciti tutti in modo molto spontaneo, aiutati anche dall’essere sempre molto prolifici. Poi nel particolare abbiamo visto che c’è un dualismo preponderante tra i brani, ci sono quelli che parlano di donne, ma non d’amore ma di sentimenti, e canzoni che parlano di noi, di ciò che sentiamo e di ciò che amiamo.

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Circa due anni fa, per l’uscita di “Ants”, una delle cose più importanti che avevate sottolineato era l’importanza dell’essere uniti. Quanto è rimasto questo concetto anche in questo nuovo passaggio?

Ancora tantissimo. All’epoca era una cosa che era uscita molto forte anche dalla scelta che avevamo fatto di registrare i pezzi in un casotto isolato da parte al Trebbia, che aveva creato un clima particolare, oggi la cosa deve essere vista ancora più forte anche per quanto riguarda tutti noi, tutti quelli che vivono la provincia, e non solo la nostra, ma più in generale quella italiana, che è quello che siamo noi. È una cosa che c’è sempre stata ma che adesso esce molto di più perché le tematiche sono più a fuoco e più realistiche di prima.

Torno sulla parte tecnica: la soluzione di isolarvi per dare vita ad un album, è una scelta ormai passata?

Non è una cosa completamente finita perché stavolta abbiamo vissuto lo studio 24 ore al giorno a Brescia, ed è stato un po’ come un continuo di quello che era successo per “Ants”. Lì abbiamo fatto una serie di serate insieme vivendo sempre a stretto contatto. Forse il massimo sarebbe mettere insieme le due esperienze, magari con degli accorgimenti. Nel disco si sente questa unità di intenti nato dal vivere insieme dei momenti, cose che abbiamo sempre fatto ma non così continuativamente come durante le ultime registrazioni.

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Un’unione che si sente a pelle. Questo quanto facilita il lavoro?

Molto perché il più delle volte non c’è bisogno di dirsi niente e spesso arriviamo in concomitanza alla stessa soluzione. Sappiamo già tutti che cosa vogliamo fare e dove vogliamo arrivare. Secondo noi ci sono veramente poche band che hanno la nostra spontaneità, in altre situazioni ci si farebbe mille problemi a dire la propria, qui invece non siamo limitati in niente. Siamo liberi come se fossimo una cosa sola. C’è anche tanta fiducia nelle scelte che vengono fatte, ad esempio nel passaggio in italiano non tutti eravamo convinti fino in fondo, ma ci siamo fidati l’uno dell’altro e il risultato è venuto fuori.

Conoscendoci da un po’ di tempo, posso permettermi di sottolinearlo: per 3 di voi, la soglia dei 30 è stata sorpassata. Cosa è cambiato in questi anni?

C’è molta più consapevolezza e un po’ meno tempo perché la vita è crudele, però è tutto uguale e identico a prima. Con il passare del tempo le idee sono più chiare di prima, la voglia c’è ancora e a volte ci sentiamo più teen ager di quando lo eravamo per davvero. Per alcuni di noi (Bedani e Chiappa) sono 10 anni che si suona insieme ed il tempo ha solo migliorato le cose, ci ha reso più consci dei nostri mezzi e ci ha anche aiutato a mettere meglio a fuoco l’obiettivo. Si comincia per suonare le cose che ti piacciono, magari anche senza lucidità, e poi col tempo si arriva con una consapevolezza diversa, con una logica più chiara.

In conclusione: canterete e scriverete in italiano ancora per molto?

Da quando abbiamo cambiato, con l’italiano abbiamo aperto un rubinetto, ma come prima, è inutile farsi dei preconcetti rispetto a quello che porterà il tempo.

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