Intervista a Federica Infante: il suo “Non importa”, l’amore per il domani, e un treno che deve ancora passare

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Si, come è già successo in passato, un po’ di mea culpa dobbiamo farlo. “Non importa” di Federica Infante è uscito già da un po’ di tempo e noi solo oggi, dopo che in tanti ne hanno già parlato, arriviamo ad avere di fronte Federica.

Anche se in ritardo, non potevamo di certo lasciare passare questo album sottotraccia e allora è uscita questa lunga e intensa intervista che la cantautrice ci ha concesso in un torrido sotto sera di luglio. Ecco come Federica Infante ci ha parlato del suo album “Non importa”.

Siamo rimasti all’ultima uscita, quella di pochi giorni fa con “Cercasi inaspettatamente”, però la storia di “Non importa” parte da marzo. Come è stato accolto in questi mesi?

Benissimo. Inizio spumeggiante dove mi sono resa conto che in tanti, e non solo amici, attendevano questo ritorno dopo anni di silenzio. Prima al Baciccia, poi tanti altri concerti e tante interviste, tanti passaggi nelle radio. Non importa è piaciuto tantissimo anche a chi lo ha ascoltato. Il lavoro però non si ferma e forse è appena iniziato

Ma andando più indietro, questo album da dove arriva?

Ho scritto il primo pezzo con Cubase registrando tutte le parti in casa, quasi come fosse un esperimento, ed è nato “Respiro” nel 2012, nel momento in cui si è sciolta la mia band. Poi ci sono stati anni di silenzio da parte mia. Un po’ perché dovevo trovare una identità come solista e un po’ per la mattia di mia mamma, mi son ritrovata in una grossa crisi esistenziale. Poi un giorno, in lacrime, ero da sola con il pianoforte e ho scritto “Non importa”, e con questo pezzo ho vinto il concorso nazionale di canto moderno a Piacenza, e questo mi ha dato una grossa spinta. Allora sono arrivati altri brani e infine l’album, ovviamente dedicato a lei.

Questo pezzo da cui è ri-partito tutto, parla di un momento molto difficile. Quando lo canti, o come adesso, quando ne parli, non c’è il rischio di tornare a quel periodo?

Il peggio è stato scriverlo. Devastante. Un brano scritto in una profonda sofferenza a tal punto che quasi non riuscivo a mettere giù le parole che avevo in testa. È stato complicato ascoltarla la prima volta, ma poi è come se l’avessi lasciata andare rendendola di tutti. Parla della sofferenza che portano i rimpianti, le cose non dette e non fatte con mia madre. Non solo la morte, ma l’abbandono di una storia che finisce. Devo ammettere che cantarla al Baciccia, anche se cercavo di distrarmi, mi ha commossa a tal punto da non riuscire quasi a cantarla.

Nell’album troviamo due brani in inglese. Come mai questa scelta e se rappresenta il fatto che tu scriva sia in inglese sia in italiano, allo stesso modo.

È nata così. Nel senso che prima per me arriva la musica e la melodia, poi le parole, e quando sono arrivate “Tell me” e “When i’m back”, il groove era tipicamente english e la lingua ha seguito la musica. I pezzi e il loro calore e colore che avevano in inglese, tradotti perdevano tanto, e allora senza pensare se venissero ascoltate all’estero o se c’entravano con il resto, senza pretese e senza altri motivi, le ho messe dentro. Qualche critica è arrivata ma in un mondo musicale dove tutto è concesso, non credo che questo sia il problema.

I tuoi riferimenti musicali di partenza sono Tracy Chapman, Jerry Lee Lewis, Vasco, Pino Daniele, Elisa… ma ora, da cantante con giù una esperienza alle spalle, come vieni influenzata da quello che ascolti?

Sicuramente da giovane ero una ascoltatrice emotiva. Sin da piccola venivo catturata dalle melodie, dal groove e dalla emotività. Perciò ero meno analitica e più empatica. Come ad esempio mi sono innamorata di Nuovo cinema paradiso, mi sono innamorata anche di Morricone. Poi cominciando a fare musica, ascoltando i pezzi di oggi, anche quello che voglio fare viene influenzato. Ad esempio adesso mi piacerebbe evolvere la mia musicalità in un suono più funky e r&b. Ad esempio cose tipo Bruno Mars, o un’altra canzone che mi è rimasta è “Love never felt so good” di Micheal Jackson e Justin Timberlake, o comunque uno stile più moderno. Poi non si può non dire che la produzione dei tuoi colleghi, rimane una parte fondamentale.

Nel corso del tempo hai avuto esperienze musicali diverse. La strada solista è quella che credi sia davanti a te anche per il futuro?

No. Io penso di essere in piena evoluzione. In questo lavoro ci ho messo tutte le energie e tutte le forze che mi rimanevano quando ho iniziato questo progetto, e non me ne rimanevano tante. Non sono wonder woman, però vorrei lavorare con dei professionisti nel prossimo progetto per tirare fuori le mie note black e quello che ho nel cassetto. Pensavo di aver dato tutto ed invece in questi giorni mi sto accorgendo che c’è ancora qualcosa. Poi si pensa tanto, canto perché non riesco a farne a meno ed è difficile portare avanti una cosa che per me non è un sogno, ma una realizzazione.

Tornando indietro, all’esperienza con il musical “Il re leone”: Cosa ti sei portata dietro? E ancora, è un modo di esprimerti che ti piacerebbe riprovare?

Allora, nel momento in cui vivevo quella parte della mia vita non ero cosciente di quanto mi stesse aiutando. Nel senso che il presente a volte non riesci a codificarlo. L’esperienza musical artisticamente è stato importante soprattutto per il discorso di canto corale, lo adoro e mi emoziona. Sarà il mio retaggio sportivo (oh, la ex-pallavolista che avevo di fronte è arrivata a tanto così, proprio questione di centimetri, dall’arrivare in nazionale giovanile. Fate vobis. Ndr) ma adoro il lavoro di squadra e vederlo unito in un palcoscenico soprattutto quando si parla di una cosa così complessa, è stata una grande emozione. È stata una esperienza con tante persone che mi hanno aiutato a sorreggermi in un momento molto difficile. MI piacerebbe partecipare ad una cosa così, però sono timida in tutto ma non nel cantare, voglio comunicare e la massima espressione di me è quando faccio qualcosa di originale. La stessa motivazione per cui non riesco a fare tante cover nei live.

Dalle tracce, ovviamente qualcuna più e qualcuna meno, esce un forte spirito di reazione e di rilancio che ci dà l’idea di una donna molto forte. È così o stai cercando di fregarci?

Sto assolutamente cercando di fregarvi! Io sono una donna che ha imparato a fare i conti con i momenti difficili, ma non so se questo mi rende una persona forte. Sono eternamente empatica e fragile, tutto mi tocca però non posso farlo vedere sempre, faccio fatica a celare questa cosa perché è un mondo spietato e non l’ho ancora imparato abbastanza bene. Sono la tipica persona alla buona che la prende in quel posto, e allora devo sempre tenere l’occhio vigile. Però sembra che a questo che nessuno ci creda.

È un album che parla di amore, ma di un amore legato al domani e alla possibilità di andare avanti, sempre con un sapore molto malinconico. È stato un album talmente intimo che sembra anche un po’ auto-motivazionale, è così?

Si, potrebbe essere interpretato così. Sicuramente è stato auto terapeutico. Scrivendo ogni canzone mi riappropriavo di una parte di me perduta e ho affrontato il lutto per superarlo almeno in parte. Ho affrontato sofferenze d’amore passate per lasciarle andare, ho elaborato i consigli di mamma per avere insegnamenti e cercare di non sbagliare più. Scrivo anche di un cuore forte indurito che però sogna ancora di innamorarsi. Tutti questi temi sono molto genuini e condivisibili. Una persona ascoltando l’album, penso possa dire che mi conosce un po’ di più rispetto a prima.

Parte tecnica: da chi è stato prodotto l’album e dove?

Le registrazioni le abbiamo fatte da Leonardo Caminati dove in pratica è stato fatto tutto. Un album fatto con grandi talenti e tutto homemade: dalla necessità di stare dentro ad un budget è venuto fuori un gran lavoro. Anche Alain Scaglia è presente, e ha fatto la parte di pianoforte come io avrei voluto saper fare io. Ah, curiosità: per “Non importa”, ho mandato il pezzo da ascoltare a Marco Sonzini a Los Angeles e alla fine si è occupato lui del master! Tutto grazie a Facebook. Avere la stima dei colleghi è una cosa a cui tengo molto.

Passiamo un attimo ai tuoi video. Dal Teatro Serra, al Trebbia, per poi tornare al Teatro Verdi di Fiorenzuola. Per primo: come sono stati costruiti? E poi, ti piace la tecnica di lanciare più il singolo rispetto ad un album?

Per “Cercasi inaspettatamente”, il video è stato girato al Teatro Serra ma già due anni fa, per farlo partecipare ad un concorso. C’è stata una produzione un po’ frettolosa ma fatta bene. Gli altri sono stati affidati a Niccolò Savinelli come videomaker e regista. Tell me uscito è uscito un anno fa quando speravamo che i lavori dell’album finissero prima ed invece siamo andati un pochettino più in là.

Per la seconda parte della domanda, io non condivido il lavoro solo sui singoli. Io scrivo canzoni e voglio fare un album non per diventare famosa ma per comunicare qualcosa. Se invece si fa un discorso legato al puntare alla notorietà o al successo discografico, ok, però anche in quel caso funziona se hai dietro una produzione. Se deciderò di fare un singolo di lancio, lo farò solo se arriva una casa importante, ma il mio obiettivo era l’album per dire chi sono io.

Non ne sono sicuro, ma mi sembra che Niccolò Savinelli sia stato centrale in questo progetto…

Fondamentale. La mia fortuna è stata incontrare Niccolò per questo lavoro anche se lo conoscevo già da tempo. Avevo un sacco di testi in tasca che non riuscivo a finire, sembra una cosa facile ma non è quasi mai così. Lui ha saputo produrre e modernizzare i pezzi senza stravolgere l’emozione che volevo dare. Se scrivo una cosa melanconica, riuscire a renderla più attuale con suoni più moderni, senza allo stesso tempo toglierli la sua emotività, è una cosa molto difficile. Si, posso dire che è grazie a lui se ho pubblicato questo album.

In un’altra occasione sottolineavi quanto è difficile trovare un palco. E allora adesso te lo richiedo: quanto è difficile trovare il posto dove esprimersi?

C’è solo un locale in tutta Piacenza che mi ha cercato per cantare, per tutti gli altri ho dovuto scrivere e cercare di fissare una data. È difficile suonare quando fai pezzi tuoi e hai una scaletta non lunghissima. Penso che ci sia poco spazio per l’arte e troppo per intrattenimento. Poi, metto le mani avanti: io mi diverto tantissimo a sentire i gruppi sulle feste, però per una cantante come me questo rende tutto molto difficile. C’è da lavorare tanto e io sto cercando di farlo, ma che la discografia in Italia sia blindata non è un modo di dire. Si può fare musica anche ad altri livelli, ma come lavoro è diverso ma nonostante questo, senza pretese, io ci credo.

Dopo averti conosciuta qualche tempo fa, ho sentito subito la tua fortissima volontà di avere una occasione grande. Fra quanto arriva?

Io non credo nel detto che dice “le cose vanno come devono andare”, quindi io continuo a lavorare perché sono un po’ una guerriera. Sto lavorando in modo di trovare una proposta, un progetto che sia coerente con chi sono io. E questa è una cosa delicata e difficile. Io penso che il mio treno debba ancora passare, e se così non fosse ho fatto il mio lavoro senza disturbare nessuno, mandando un messaggio di forza e di speranza e di non mollare mai alle persone che mi ascoltano.

La strada quale può essere?

Una collaborazione. Mischiare o fondere tramite le collaborazioni, le proprie idee per creare qualcosa di genuino o comunque contaminato da altri suoni. Mi piacerebbe trovare una collaborazione molto diversa da me, almeno come esperimento. Mi piacerebbe sperimentare anche per scoprire e continuare a crescere e ad evolvermi.

L’album è chiuso da “Fede” e così direi di chiudere l’intervista. Dopo averlo ascoltato, ho capito che Fede sei tu e che la canzone è per te. Intanto se è anche un messaggio per qualcuno in particolare, e poi, soprattutto, cosa senti di dire a te stessa dopo questo “Non importa”?

Intanto non l’ho scritta per mandare un messaggio, l’ho scritta perché ho capito che a volte è meglio parlare poco e i malintenzionati che vanno in giro armati ci sono e ci saranno sempre, ma dalla mia parte ho la verità e, senza paura, ho dato un consiglio a me stessa.
Per quanto riguarda invece la seconda parte, questa è una domanda che mi arriva in un periodo dove è importante concretizzare. Fare un album non è un punto di arrivo e quindi io ho quasi paura di non andare avanti. Adesso sento di dirmi che comunque vada ho creduto in me stessa e ho creato il mio lavoro sperando che quella occasione importante prima o poi arrivi. Altrimenti sarà la vita a darne delle altre.

Summertime In Jazz