Intervista ad Angelo Branduardi. Tra racconti di vita, concerti e dissertazioni filosofiche sulla musica

1368

Angelo Branduardi mi ha concesso un’intervista in previsione del suo concerto a Castel San Giovanni di domenica 15 luglio ore 21. Per me è stato un vero onore poter interloquire con un artista che, insieme ad altri, ha fatto da colonna sonora della mia vita. Una telefonata emozionante, imprevedibile e ricca di contenuti nella quale si è discusso della musica e delle sue origini come mezzo comunicazione con il divino, abbiamo fatto un piccolo tour tra i suoi concerti passati e odierni, e chiacchierato dei suoi  incontri con tanti altri artisti.
Una cosa voglio dirla subito: Angelo Branduardi è una persona gentile. Proprio così, con lui sei a tuo agio. Ti mette a disposizione con semplicità le sue riflessioni, la sua storia personale e musicale.
Da parte mia ricordo perfettamente la prima volta che ascoltai una sua canzone:  era  l’estate ’76,  in campeggio al mare con i miei, e la canzone era  “Alla fiera dell’est” diventata negli anni il  marchio di fabbrica di Angelo Branduardi. Ma è un paio di anni dopo che ascoltando per la prima volta “Confessioni di un malandrino”, le canzoni di Branduardi fecero da sfondo alla mia vita.
Album incredibili che abbinano la grande abilità e competenza musicale alla composizione di canzoni che prendono spunto da opere di grandi poeti e narratori come Esenin, Fortini, Dante, per tradurle in un linguaggio musicale che lo collega ai cantastorie, ai guitti, a quei  menestrelli che un tempo viaggiavano di piazza in piazza nei villaggi lungo il cammino.
Probabilmente questo stile musicale, il modo di trasportare brani musicali con pathos,gli ha permesso di essere uno dei pochi artisti italiani molto richiesti e conosciuti all’estero continuando nel tempo, a godere  di grande fama e riconoscimenti fuori dai confini nazionali, nonostante nonostante siano cantati in italiano (ricordiamo che è uno dei pochi ad aver suonato nel mitico teatro “Olimpià” di Parigi).

Canzoni che si avvalgono delle competenze compositive per quanto riguarda i testi, della moglie Luisa Zappa, perché, come lui stesso ci dice, “sono un musicista, non sono né scrittore e neppure un poeta, Luisa ha scritto i testi di tante mie canzoni

Iniziamo dunque! Per incuriosire il pubblico, ci puoi descrivere il concerto di domenica prossima? Come sarà?
Il concerto sarà con la band al completo:  Fabio Valdemarin alle tastiere, Antonello D’Urso alle chitarre, Stefano Olivato al basso e Davide Ragazzoni alla batteria. Di certo ripercorreremo le tappe della mia carriera. Però non ti so ancora dire come sarà di preciso. Dipende da diversi fattori  fra i quali, il più decisivo, è la risposta del pubblico alle mie canzoni. Tendo a non fare concerti  uguali, inserisco sempre sorprese o novità  ma nulla sarà risparmiato del mio repertorio musicale.

Hai scelto di sviluppare la tua carriera secondo strade diverse dai tuoi colleghi cantautori del tempo. Come mai?
I motivi sono diversi. Un forte imprinting lo ha dato la mia formazione musicale. Sono contentissimo di averlo frequentato e mi sono diplomato al conservatorio, che come dice la parola è un luogo “che conserva”. Mi ha “impostato” secondo criteri e strade diverse dalle abituali.

 

Le tue canzoni sono in perenne equilibrio tra umano e trascendente oppure tra sacro e profano, da cosa deriva questa continua ricerca?
Per un motivo principale. La musica è astratta, è il massimo dell’astrazione, e quindi la più vicina al Supremo all’Altissimo. Ho avuto la fortuna di incontrare e seguire un grande musicologo Diego Capitella. Dalle sue lezioni e approfondimenti ho appreso tante cose. Fra cui questo eterno dualismo tra trascendente e terreno. Unione che viene espressa da figure, uomini, che hanno cercato di tendere delle corde, creare unioni tra queste due entità. In questo modo possiamo identificare come primo musicista lo Sciamano, colui che rappresenta il proprio popolo davanti alla voce creatrice Colui che cerca di imitarne la cadenza, la voce. Se ben ci pensi il creatore viene sempre rappresentato come “voce” o “verbo”. Infatti  in tutte le cosmogonie primitive il suono è Dio. Entrando in contatto con la terra le creature diventano opache e “non suonano più”.
Però dentro di noi è rimasto qualcosa di questo contatto divino e lo sciamano è convinto di inalare e trasmetterci  una parte del suono divino. 
In questo modo possiamo identificare “L’incantesimo” cioè il “cantare assieme” come prima forma di sacrificio. 
L’incantesimo è l’atto che viene usato,  in maniera molto terrena e bella, da San Francesco  che riprende il concetto della circolarità della creazione, cioè dove “tutti cantano per tutti”.
Laddove si spezza l’armonia c’è un attimo di buio. San Francesco ci racconta che questo cerchio, questa creazione circolare, questa voce che va e che viene, deve rimanere sempre intatta. Tutto questo per dire che c’è un aspetto predominante, almeno all’origine dei tempi, per la musica legata alla religione. 
Però siamo umani e allo sciamano si affianca un’altra figura, molto più terrena: il Mago
Lui non parla alle alte sfere, ma parla alla terra. Come tale magari viene disprezzato, ma è assolutamente indispensabile perché è colui che fa le fatture e  con i suoi intrugli cura le malattie. 
Ecco Sciamano e Mago sono due tipi di musicisti, e rappresentano due tipi di musica. Poi col tempo si trasformeranno in “musica alta” o “musica bassa”, e in “musicista colto” o “musicista popolare”. Io utilizzo coscientemente le due parti:  quella legata all’estasi e quella più terrena, legata al delirio della percussione. Per me la musica è unione tra percussione e melodia. Tradotto in un’espressione usuale: cerco di “unire il diavolo all’acqua santa”. Unire il più corporeo che c’è a ciò che è più esoterico. 

Un ruolo fondamentale nei testi lo ha avuto tua moglie. Come è riuscita a rimanere aderente rappresentare così bene questo tuo percorso musicale?
Lei ha agito e agisce in totale libertà. Per esempio è difficile che io abbia delle idee precise su un testo, anche se in alcuni casi ci sono ovviamente state, però ci sono altre musiche che a me non raccontano un storia mentre a lei invece si. E così lei sviluppa in totale libertà quello che poi riguarderemo assieme.  Questa unità di intenti è riuscita solo due volte nella mia carriera: con mia moglie e con grande Giorgio Faletti . Grazie a lui sono nati due album a cui sono molto legato e che ritengo molto belli oltre che essere apprezzati dalla critica e dal pubblico. (“Domenica e Lunedì” e “il dito e la luna” n.d.r.).

Canzone: il dito e la luna (Branduardi-Faletti-Zappa
[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”11866″,”attributes”:{“alt”:””,”class”:”media-image”,”height”:”150″,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”150″}}]]

Nella tua carriera hai incontrato e collaborato con tantissimi altri musicisti (Vecchioni, Banco Mutuo Soccorso, fino a Stephen Stills e Graham Nash) c’è qualche episodio che ti è rimasto particolarmente impresso nell’ incontro con loro?
Uno dei miei grandi amici è proprio Stephen Stills. Ricordo con grande piacere quando mi ha dedicato un suo concerto a Milano. Ero lì presente e sono diventato piccolo piccolo quando me lo ha dedicato.

Hai le radiici negli anni 70, che rapporto hai con la musica attuale? E cosa ascolta abitualmente Angelo Branduardi?
Ascolto molto e un po’ di tutto. Anche se c’è da dire, che la musica italiana ha saltato una generazione e, prima ancora, ha saltato un secolo quello del romanticismo e del sinfonismo che c’è stato all’estero come ad es. in Germania mentre non è esistito in Italia. Per cui noi abbiamo Verdi, che è un melodista, mentre Wagner è un musicista totale. 
Su quello che avviene adesso però so un po’ poco. Ho collaborato con Caparezza e che stimo molto insieme ad esempio a Fabri Fibra. Così come mi piace molto Capossela col quale sta anche partendo una collaborazione.

Fra i tuoi dischi o canzoni quali butteresti dalla torre e quale ti porteresti su un isola deserta?
Dalla torre butterei giù sicuramente la canzone “musica”. Quella specie di reggaettino che è anche stata la sigla di DiscoRing. Quella invece a cui sono più affezionato è sicuramente “confessioni di un malandrino” anche perché è la prima canzone che ho scritto quando ero giovanissim, avevo 17-18 anni.

Video: Angelo Branduardi – Confessioni Di Un Malandrino (Live @Antwerpen)
[[{“type”:”media”,”view_mode”:”media_large”,”fid”:”11867″,”attributes”:{“alt”:””,”class”:”media-image”,”height”:”252″,”typeof”:”foaf:Image”,”width”:”480″}}]]

Nella tua vita, un sogno che si è realizzato, uno che hai nel cassetto e uno che è nel cassetto e che purtroppo difficilmente si realizzerà.
Penso che tutti i sogni rimangono tali anche quando  realizzano. Fra le cose che mi han fatto più piacere è ricordare il volto di mio padre, melomane, amante della musica che mi ha sempre sostenuto negli studi, contento quando vedeva il pubblico apprezzare i miei spettacoli anche se interpretavo  un genere più “popolare” rispetto al suo.  Ecco questo è il ricordo più bello che mi porto dentro.

Giovanni Castagnetti

Summertime In Jazz