L’uomo dalle 12 dita, il nuovo album dei Misfatto, ve lo raccontiamo in anteprima

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Si, è vero, al suo interno troviamo anche suoni che non ti aspetti e con alcune metriche non consuete per la loro produzione, però sono sempre loro, i Misfatto. Una, se non addirittura “la”, realtà musicale sotto forma di band che da più tempo porta in giro il rock italiano targato Piacenza, non poteva non passare attraverso la nostra intervista appena prima del lancio ufficiale del nuovo album.

Da domani il loro nuovo prodotto discografico sarà disponibile a tutti e si chiama “L’uomo dalle 12 dita”. Dodici pezzi (sarà un caso?!) in cui troviamo una parlata/intro di apertura, una cover, una collaborazione (molto) importante con Dargen D’Amico, una chiusura tanto suonata che dà il nome all’album, ed in mezzo il rock che da sempre caratterizza i Misfatto, ma qua e là riadattato al 2018. Ma lasciamo la parola a loro.

Intanto il titolo non è di fantasia!

Per niente. Un giorno arriva in farmacia (e avete già capito chi ha risposto a questa domanda…) una persona di colore e mentre mi chiede qualcosa vedo sul bancone le sue mani con 12 dita. Io sono stato folgorato dalla cosa e lui subito mi ha detto “tranquillo, tutti reagiscono così”. Sapevo che esistono un paio di tribù nel centro dell’Africa che hanno questa caratteristica, ma trovarsela davanti è stato un po’ diverso. Beh, quella per me è stata una cosa destabilizzante, una situazione di diversità estrema che è stata per me un punto d’ispirazione.

Un album che a tratti è un po’ diverso dagli altri…

Si, anche se siamo al nono album in 30 anni di attività, ha una struttura giovane anche perché c’è una grossa nota giovane nei Misfatto, basta pensare che una delle novità è stata l’entrata nella band di Marco Cusenza nel 2015 (anche se non manca l’appunto al fatto che questo è l’anno dei “30” per Zucconi. Ndr). Oltre a questo il merito è del lavoro di Daniele Zucca all’Elfo studio che con le sue basi che usate in diversi pezzi, ha dato un suono nuovo alle nostre produzioni. Per noi è diventato un po’ il settimo Misfatto. In questo album si sente bene il suono moderno, dal pop al rock, dal grunge al rap.

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Dato che è stato chiamato in causa, due parole non possiamo non chiederle a Marco Cusenza su questi sui primi anni nei Misfatto…

Con Gabi e Alberto ormai gli interessi in comune sono tantissimi con l’etichetta e il festival, oltre che con gli Zebra Fink, poi oltre a loro, con il resto della band, c’è sempre stato un bellissimo rapporto di amicizia. Tutto questo ha portato ad un inserimento osmotico nella band fino ad arrivare ad una presenza fissa. Avevo appena finito di registrare Zeno con gli Zebra ed ero carichissimo di poter mettere a frutto in un altro progetto quello che avevo imparato. Ne è uscito L’uomo dalle 12 dita per come lo sentite: eterogeneo, ma che trasmette carattere. Un lavoro che per me è stato tagliente e sottile, dando struttura oppure cesellando il più possibile all’occorrenza. Un progetto di cui sono molto entusiasta, soprattutto per la forte collaborazione che c’è stata tra tutti i 6 membri della band, più uno: Daniele Zucca, grandissimo producer!

Torniamo al discorso generale: L’uomo dalle 12 dita ci era stato anticipato tempo fa ma ce lo avete fatto aspettare un po’…

Per noi il 2017 è stato un anno molto lungo e poi il lavoro su questo prodotto è stato davvero tanto. Dalla pre-produzione a Gragnano, poi la registrazione all’Elfo con il mix di Mirco Barusso arrivando fino il master di Marco D’Agostino, è stato tutto un lavoro molto professionale. Questo senza dimenticare il video girato da Niccolò Savinelli e il lato grafico scelto insieme a Rosario Scrivano. Dietro c’è sempre tanto sudore.

Proprio su questo, il 2017 per voi è stato un anno molto impegnativo, non è vero?

Per noi è stato un anno di vita insieme. A me personalmente (è sempre Gabi che conduce) ha portato via diversi anni di vita futura. Per fortuna quando fai tante cose in musica e hai la testa lì, è un grosso aiuto. A volte quando non hai in testa niente sei obbligato a concentrati solo su alcune cose rendendole sempre più difficili. Questo album è stato una bella spinta a rimanere sul pezzo. Devo dire che noi siamo stati sempre molto uniti e questo ha reso più facile riuscire a sorpassare un 2017 complicato.

Tornando sul discorso legato ai suoni nuovi, come siete arrivati alla collaborazione con Dargen D’Amico?

Tramite il nostro manager Enrico Mutti. Lui è molto sul mercato rap ed hip hop, lavora anche con lui e da lì è nata l’idea. Lui che già segue la direzione dei nostri brani ha portato il pezzo forte dell’album con questa collaborazione. Poi la cosa in più è che arrivata in “Ossessione Boudelaire”, perciò un nostro pezzo storico ultraventennale che con lui ha subito tante variazioni diventando quasi un’ossessione stessa sulla canzone. Crediamo proprio che una cosa del genere in Italia non si sia sentita molte volte.

Un album in cui troviamo pezzi già portati sul palco e altri inediti…

Si, ci sono brani con una lunga storia, altri tenuti lì come un figlioletto e che adesso hanno trovato la pubblicazione. Inverno 99 è proprio di quell’anno e il destino ha voluto che lo realizzassimo adesso con la voce di Alberto, ed è diventato una bomba. Anche “Gocce di tango” che ha suoni quasi pop- dance, viene da lontano, ma altri invece sono più recenti come ad esempio “51 states of America” in cui quello stato in più saremmo noi.

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Che momento è per i Misfatto?

Noi ci sentiamo all’apice di questa esperienza anche se la cosa può far ridere dato che la nostra discografia comincia nel 1997 dopo tanti demo tape su cassetta. Però questo lo diciamo anche per la qualità e la professionalità che c’è nel lavoro che stiamo svolgendo adesso, soprattutto proprio rispetto a quegli anni dove era davvero difficile dare vita ad un prodotto discografico. Poi chi lo sa, a questo punto dopo L’uomo dalle 12 vita fatto con tutti i criteri del professionismo e tanti sacrifici economici, il prossimo lo faremo con clava e bastoni!

Se in un’altra realtà legata a voi dal mondo e dall’etichetta Orzorock Music (ma anche tante altre cose) come gli Zebra Fink, c’era stato un momento in ci si era guardati in faccia per capire cosa fare, a voi è successo?

Per noi è stato tutto un po’ diverso. Noi siamo una formazione molto compatta che si è andata a stringere ancora di più con l’arrivo del Cuse, che è stato un po’ un ritorno ad una formazione che non avevamo da anni. C’è stato un momento in cui ci siamo un po’ fermati, tra l’altro un momento in cui si cominciava a sentire in giro il nostro nome e venivamo da una serie di date molto lunga, però senza mai il dubbio su quale sarebbe stato il passo successivo. Poi noi ormai siamo costruiti come una piccola macchina da guerra caratterizzata da una forte base di amicizia con un leader che cerca di portare avanti quello che è stato fatto in questi anni.  

E questa cover dei Litfiba?!

Apapaia intanto ha 30 anni come i Misfatto e poi ha dietro un aneddoto. Un giorno Enrico Mutti si ferma all’autogrill e trova Ghigo Renzulli, comincia a parlargli e alla fine strappa la sua presenza nell’album. Poi però per lui era un periodo di fine tour e non siamo riusciti a concretizzare la cosa e purtroppo è rimasto solo un aneddoto, però questo ci ha portato ancora di più verso l’idea di rifare questo pezzo. Ma andando oltre, Apapaia è una canzone che abbiamo nel cuore e che senza stravolgerla abbiamo voluto fortemente fare.

E adesso?

E adesso ci aspetta il release party al Baciccia il 26 gennaio, poi il 10 febbraio a Bergamo al “in dispArte”, il 17 febbraio saremo ad Acqui Terme, e poi torniamo il 1 marzo a Piacenza alla Muntà per OverTheMoontà. Soprattutto però adesso ci vogliamo godere per bene questo album perché sentiamo di avere dato tutti il massimo.

Summertime In Jazz