A tu per tu con: Pietro Corvi

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Dopo l’intervista a Carla Zerbi della scora settimana, stavolta, per conoscere meglio quello che gira attorno ai palchi della musica piacentina, siamo andati a trovare uno che di solito le interviste le fa: Pietro Corvi.
A Piè, che da anni è una delle facce della musica a Piacenza, abbiamo voluto chiedere un po’ di punti di vista su un panorama musicale tutto da decifrare: il nostro.

Da dove cominciamo?

Intanto cominciamo da un farro con provola, radicchio e cipolla. Che a stomaco pieno…. Poi, più seriamente, diciamo che l’inizio di “Piè” risale al 2000 coi pomeriggi con Fede Pagani e poi gli Haulin’ass. Prima ancora sono ricordi dei vinili di mamma, fra New Trolls e Miles Davis, il primo giradischi, le finte batterie in casa e la prima chitarra a 7 anni. Poi nel 2006 la collaborazione con Libertà all’Arquato Jazz, quando mi sono trovato di fronte a terreni sconosciuti, situazioni musicali molto diverse da quelle che ero abituato a conoscere. Li ho scoperto che è tutto molto bello.

L’inizio era appunto il Piè. Dopo anni di Paolo Schiavi come è stato il passaggio al “vecchio” Pietro Corvi?

Ho ridato una identità reale ad una personalità, ma soprattutto una corrispondenza fra nome e persona. E’ stato importante perché ha significato un bel cambiamento in positivo. Anche se i primi pezzi mi veniva ancora da firmarli con il vecchio nome, ha voluto dire una bella botta di fiducia. Si è sbloccata una situazione che si era cristallizzata negli anni grazie ad un’aria nuova che tira nel giornale.

Fra tutte le cose che fai, come ti definiresti?

Poliedrico. È difficile spiegarlo però sono ormai in un circolo vizioso e virtuoso. Viene difficile spiegare il perché sono in tante situazioni. Lo so, sarebbe più facile avere un lavoro fisso con orari fissi, però sono così e vivendo in modo diverso mi mancherebbe una parte di quello che faccio. Non sarò mai solo un’unica cosa ma tutte le cose insieme. Poi però vediamo…

Sul palco, dietro il palco, in redazione: dove ti trovi meglio?

Ma forse il nodo è quello, non sapere dove voler stare in modo fisso. Adesso non lo saprei. Pensando all’emozione di mettere in creare e gestire un festival come Tendenze, vivendolo al 100%, è qualcosa che non riuscirei a farne a meno. E’ uno dei massimi picchi emotivi della mia vita e veder che la gente va via contenta è una soddisfazione.

E’ più difficile far passare il significato della musica quando si scrive un articolo, quando si suona o quando si organizza un evento?

Si fa fatica un po’ ovunque. Il giornale magari non è letto da molti giovani, anche per un passaggio generazionale importante sotto diversi punti di visti. A volte anche far capire l’importanza di uno spettacolo non è semplice perché se non è mainstream, viene snobbato. Di mezzo poi ci si mette anche la comunicazione, quando funzionano le tette su instagram è difficile far passare cose più articolate come un festival. Questo ti porta a farti sempre la domanda: cosa ho seminato? Da quello che è uscito dalla bocca delle persone, tanto, poi però non bisogna illudersi. Deve esserci un’attenzione continua soprattutto contro delle forze potenti, tralasciando la televisione, come può essere stare ore davanti ad un tablet.

Passando a Piacenza, fai e parli di musica dal 2000, cosa è cambiato?

Una cosa che dico sempre è che si è verificato uno scollamento generazionale. Non c’è più la banda di ragazzini che in carovana si sposta per andare a vedere qualcuno che suona. Abbiamo 20enni che hanno avuto una grossa inflazione nel fare musica. Quattro, cinque anni fa, in Cavallerizza bisognava sgomitare per avere le sale, adesso invece è cambiato tutto. Il problema però non riguarda solo la massa, ma anche l’elite di chi suona e di chi organizza, loro sono i primi che danno il cattivo esempio.

Fra cose che si sono perse e cose che sono rimaste, il bilancio com’è?

Fondamentalmente è un bilancio in negativo. Pochi giovani che suonano e che girano. Tiene ad esempio Tendenze, ma perchè si è fatto un nome negli anni ’90. Ci sono progetti nuovi come il Bleech, fatto bene, con tanta gente, ma con una esigua minoranza sotto il palco, c’era molta più attenzione verso i panini. Tante volte la gente non sa che chi organizza eventi, come ad esempio quelle di spazio4, lo fa anche in altri posti e in altri momenti. L’ipercomunicazione per assurdo ci ha riportato indietro invece che avanti.

Sembra che ci sia una grossa e sbagliata abitudine da parte di chi fa musica, ed è quella del non seguire quello che fanno i colleghi in giro. Lo confermi?

Si e l’aggravante è che questa sarebbe la prima cosa che chi suona dovrebbe fare: uno spionaggio industriale per capire cosa funziona e cosa gira. In molti non girano per vedere gli altri. Uno che suona e studia, che non è impegnato tutte le settimane, spesso non va alla ricerca di situazioni musicali che possono essere molto produttive anche solo per sé stessi.

L’ormai celebre “a Piacenza non c’è mai un cazzo”, lo vogliamo abolire o no?

Sarebbe ora. Questa è una delle motivazioni per cui vorrei istituire il “Pulmino Pietro Corvi” per caricare chi magari è fisso davanti ad una birra tutte le sere, per portarlo a fare un giro e vedere cosa c’è attorno. Andiamo a fare un giro e poi mi dite! Ci sono periodi dell’anno, come a settembre, dal Bleech a Tendenze fino al Festival del Diritto, oppure quando c’è il Piacenza Jazz Fest, in cui la proposta è molto ampia e variegata. Poi, sul “non c’è mai niente”, c’è sempre la possibilità di proporsi, cosa che succede molto raramente. Molti non conoscono alcune realtà di piacenza ma nonostante ciò hanno diritto di parola. Se messi a confronto con Lodi o Pavia, non abbiamo niente da invidiare. Anche come tradizioni, una storia come quella di Orzorock non ce l’hanno mica in molti. Purtroppo per tanti “l’erba del vicino è sempre più verde”.

A Piacenza però manca il grande evento, perchè?

È un insieme di fattori. Le amministrazioni hanno pochi soldi e magari non gli indirizzano su situazioni musicali nuove o almeno non standard rispetto ai canoni classici. Il privato spesso non ha soldi da scommettere e di conseguenza bisogna cercare uno sponsor, ma li si torna al pubblico che deve facilitare l’utilizzo dei canali. Ci vorrebbe una sveglia comune e un po’ di voglia in più. Poi se il pubblico risponde, quello è un terno al lotto. Forse è anche una cultura che si è un po’ persa, come la chiusura di alcuni luoghi importantissimi come il Fillmore. Sono cose che segnano un po’ l’esperienza generale. In quel caso, con quella mancanza, si è persa l’abitudine ad avere un big. Il ricordo del “che bello quando c’era…”, diventa un mito. Senza contare che una minore concorrenza abbassa i giri del motore.

Arriviamo a Tendenze, centrale per Piacenza, quanto ha rischiato di non esserci? E il 2016?

Ha rischiato parecchio di non esserci. Le fasi iniziali del dopo Tendenze 2014, erano abbastanza caotiche. Tanti al primo incontri, molti meno al secondo. Non si capiva quale poteva essere il gruppo di lavoro. Molti hanno preso paura per i costi e la burocrazia che deriva dall’essere un festival legato al Comune. Per mettere insieme tutto c’è stato bisogno di prendersi dei rischi e ciò è stato possibile tramite una featuring tra leto e Crows Eventi. Per il 2016 ci aspettiamo un altro bando. Noi abbiamo molta voglia, però adesso è il momento delle trattative e degli incontri. Poi vediamo cosa succede.

Chiudiamo con uno sguardo generale alla scena musicale piacentina del 2016. Voto e motivazione.

… (imprecazione a causa della domanda definita “bastarda”. Ndr) …
Il voto è molto basso, sicuramente un’insufficienza. La motivazione è perché non si fa sistema. I gruppi si “bastano a sé stessi”, non andando, come dicevamo prima, a sentire i concerti altrui e fra di loro se ne dicono dietro di tutti i colori. Gli amici di chi suona in un gruppo non si interessano alle altre proposte che girano. Lo stesso vale anche fra le diverse organizzazioni (cosa che sarebbe possibile ed un esempio è la scena teatrale in cui invece c’è un’idea più ampia di collaborazione). Poi molti gruppi di ragazzi giovani stanno rintanati nelle loro sale prove, e anche gli studenti delle scuole di musica non si capisce che indirizzo vogliono dare alle loro velleità quando magari passano dei nomi importanti a Piacenza e che non vanno a seguire. A Piacenza, se di scena si vuol parlare, di fatto è completamente disgregata. E’ un problema culturale molto serio. Chi crede nella scena musicale fatta di live e vere performance, deve dimostrare di crederci un po’ di più e di impegnarsi attivamente altrimenti lasciamo tutti in mano alle solite 4 cover band. 

Summertime In Jazz