Il The Wall lo presenta il “capitano” Andrea Gherardi: un live club aperto ad ogni proposta

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Ne avevamo sentito parlare, poi ci siamo stati, ed ora ne scriviamo per presentarlo a chi ancora non lo conosce. Stiamo parlando del The Wall, il nuovo locale (circolo per essere precisi) nato da un paio di mesi nella zona industriale di Montale. Un posto nato specificatamente per fare musica, con la chiara indicazione di ricoprire il ruolo di live club. A raccontarci la sua storia con uno sguardo già al futuro, è Andrea “il capitano” Gherardi.

Da cosa nasce il The Wall?

Tutto è stato deciso da un giorno all’altro. Un imprenditore di Piacenza, Salvatore Gagliano, decide di trasformare un suo capannone in un locale per i giovani. La forma è stata quella del circolo perché è stato fortemente voluto così, questo perché nella sua idea c’era quella di un centro di aggregazione. Da questo ha cominciato a studiare varie idee per renderlo interessante.

Tu come entri a farne parte?

Ad un certo punto decidono di mettere un annuncio, qualcuno me lo fa notare e subito mi sono fatto avanti. Io organizzo eventi dal 2005 nell’ambito rock perché proprio da quell’anno è nata la Black blood brigade, un collettivo dei gruppi della zona che in qualche modo si ritrovano idealmente per emergere. Un modo di darsi una mano a vicenda in un momento in cui è molto difficile portare in giro la musica live. Da quel primo contatto, di colpo mi sono ritrovato a gestire la programmazione.

Qual è l’idea generale della gestione del circolo?

L’idea è molto varia, fondamentalmente è un contenitore dove ognuno può proporre qualcosa e se quella cosa sta in piedi la si fa. Io organizzo i live ma la nostra è sempre una situazione in divenire con cose diverse. Poi essedo un circolo ci sono i soci e possono essere proprio loro a proporre in prima persona le idee per portare nuovi eventi. Questo non vale solo nell’ambito delle serate, ma anche nei pomeriggi, infatti l’obiettivo è quello di dargli un’mpronta sociale indirizzata su un solo versante, come quello dei live, ma a 360 gradi.

Tornando sulla proprietà, come mai un imprenditore ha deciso di trasformare un posto del genere in un locale?

A lui semplicemente piaceva l’idea di dare vita ad un posto dove la agente poteva trovarsi e divertirsi. A questo lo ha portato anche sua figlia, una ragazza appassionata di rock che ha un po’ incanalato questa sua idea all’interno del panorama della musica live. Anche se lui non è nel giro della musica, ha capito che a Piacenza c’era necessità di un posto del genere e allora ha optato per questa strada.

Com’è il vostro rapporto?

Finora è stato fatto tutto sul “mi fido di te”. La cosa centrale che fin dall’inizio mi ha detto che non può mancare è quella di coinvolgere più gente possibile. Io ho sempre avuto fino ad oggi la possibilità di muovermi e di fare le mie scelte, su questo lato la libertà è davvero molta.

Lui che tipo è?

Salvatore è un sognatore come me. Non mi parla mai di guadagni ma di andare in pari per far sopravvivere una cosa per lui importante. Poi se arrivano i soldi meglio, anche se poi vengono direttamente reinvestiti in nuove attività, ma comunque non è quello l’obiettivo. È un uomo che aveva un’idea e che in una estate ha convertito un capannone dandolo in mano a delle persone orfane di un posto per i live.

E questa libertà con criteri la stai utilizzando?

Non fermandomi davanti a cose diverse o a piccoli conflitti che ci sono stati nel nostro panorama nel corso del tempo. Nel passato a volte sono nati piccoli scazzi fra musicisti che poi si sono trasformate in rotture di cui un ambiente piccolo come il nostro non ha bisogno. Noi vogliamo andare oltre a queste cose. La peculiarità di avere più facce si vedrà anche a dicembre con un cambio sostanziale, quello del passaggio da due live alla settimana, ad un live il venerdì ed una serata con dj il sabato. Questo perché la musica live ha perso tanto e noi dobbiamo e vogliamo anche andare incontro a quello che viene richiesto. Noi viviamo lungo le linee che ci detta la necessità popolare e se il pubblico è interessato ad una cosa noi la seguiamo. Abbiamo tolto un live perché il pubblico di adesso fa fatica a sopportare due live di fila nella stessa settimana.

Un cambio che forse per chi ha imparato a conoscervi può sembrare un po’ strano…

Certo, non tutti capiranno e noi siamo i primi a chiederci come andrà. Per noi con questa formula il 2018 sarà un’avventura. Vedremo se Piacenza saprà rispondere a questo nostro progetto oppure se siamo un po’ troppo strani. Purtroppo, secondo il mio punto di vista, il mercato piacentino è morto e questa è una cosa con cui bisogna fare i conti. Se vai nelle altre città, l’interesse per la musica è molto più forte da parte del pubblico stesso. Basta pensare che da noi 10 anni fa c’era un numero incredibile di band di ragazzi, ed invece al giorno d’oggi sono molte ma molte meno e alcune di quelle che esistono sono fuori dai radar.

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Al centro di questo declino cosa ci metti?

È molto semplice: la crisi che ha colpito tutti molto duramente e che ci sta devastando ancora oggi. Questo ha portato la gente a non avere i soldi per uscire la sera. Oltre a questo però va detto anche che al momento di massima creatività c’era anche tanta schifezza in giro e la gente trovandosi davanti a cose brutte ha fatto altre scelte. Il cliente è andato verso la sicurezza di un djset che bene o male qualsiasi cosa metta, è qualcosa di bello o almeno fatto bene. Questo di conseguenza ha influenzato anche i locali che avendo meno pubblico avevano anche meno possibilità di cachet, portandoli ad optare sul cantautorale, con meno esigenze economiche e tecniche, togliendo possibilità ai gruppi.

Alle piccole rivalità di cui parlavi prima imputi qualche colpa nei confronti di questa situazione?

No, non credo. La scena crolla per motivi indipendenti legati al momento storico. Ad esempio anche perché non ci sono più stati locali dedicati ai live, nonostante i gruppi che portano gente ce ne siano in giro, anche da noi. Poi gli scazzi ci possono essere ma non vanno confusi con la piacentinità. Nei posti di lavoro dei problemi ci possono essere tutti i giorni e il mondo della musica è un posto di lavoro.

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C’è anche un discorso di mode che influenzano un periodo storico?

Beh, il rock ad esempio ha un’accezione maschilista che in questo momento sicuramente non è molto apprezzata. Ce l’hanno anche il rap e l’hip hop, anche la trap che oggi va così tanto fra i ragazzi, ma forse loro hanno saputo capire meglio il mercato di oggi. Sicuramente il tamarrismo anni ‘80 ha rotto un po’ i coglioni. Tutto questo messo insieme al fatto, sempre secondo il mio punto di vista, che dopo il 2000 non si riesca a trovare un gruppo da considerare come “grande” della musica. Questo evidentemente ha influito sui gusti del pubblico.

Nella programmazione abbiamo visto ritornare più di una volta il nome di Orzorock (vedi anche venerdì 18)…

Con Orzo la collaborazione nasce perché come loro e 29100, come Black blood brigade facciamo la stessa identica cosa ossia cercare di far aumentare l’attenzione del pubblico verso la musica e aiutare i giovani musicisti a crescere dandogli la possibilità anche di non sbattere troppo il muso all’inizio di un percorso musicale. Gabi (Gabriele Finotti, ndr) non lo conoscevo fino a quando non ho cominciato a lavorare per il The Wall. Siamo stati presentati e in 5 minuti eravamo già migliori amici, perché ho capito che sono una realtà che ha la nostra stessa idea di musica, quella legata a non mettere preconcetti di nessun tipo alle proposte artistiche e al porre al centro la passione. Questo sempre all’interno dell’idea di coinvolgere più persone possibili e trovare chi porta avanti una idea per il locale.

Insomma quello che hai in testa è un progetto più ampio rispetto ad un classico locale, giusto?

Allora, io non penso di essere più furbo degli altri, è che a differenza di alcune realtà passate credo molto nel gruppo. Spesso ho visto in giro, e credo di dirlo con oggettività, delle realtà che si fermavano al “io faccio solo questo”, e per me così non può funzionare. Anche con una proposta che a me personalmente può anche non convincere, io un tentativo lo faccio. La cosa a cui tengo moltissimo è che i musicisti vadano oltre al loro progettino e che si rendano conto che fanno parte di un sottobosco molto interessante che può creare cose incredibili. Io nel giro di poche settimane ho imparato a conoscere artisti e realtà di cui prima non ne sapevo l’esistenza e questo mi dà l’idea di come il The Wall possa essere un luogo dove condividere idee e sogni. 

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